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giovedì 20 ottobre 2016

Born to... fail? #1

Alcuni sostengono sia una stella, un talento cristallino purtroppo castrato da una dirigenza allo sbando e da una squadra non all'altezza delle sue capacità. Altri ritengono debba dimostrare ancora molto e non sono del tutto convinti della purezza del giocatore. Io? Io credo sia un irrecuperabile cazzone che sta distruggendo, a ritmo anche abbastanza spedito, la sua carriera E la storia di una franchigia tradizionalmente ricordata come una delle squadre più belle (da veder giocare, s'intende) nei primi anni 2000. Non da solo, chiaramente, ma ampiamente supportato dalla sciagura indiana di nome Vivek Ranadive. Da Mobile, Alabama, ecco a voi il primo ospite della nostra nuova rubrica: DeMarcus "Boogie" Cousins.


DeMarcus ha la sindone del predestinato, è una star già nella sua High School dove è ad un altro livello fisicamente e tecnicamente; non impressiona quindi la mostruosa mole di cifre messe su, ma piuttosto l'eleganza e il controllo del corpo in rapporto alla stazza. A livello giovanile è indiscutibilmente uno dei nomi più caldi in tutti gli States, e a dimostrarlo vi è la presenza ai vari McDonald's All American e Nike Hoop Summit e il fatto che fosse listato addirittura come secondo miglior prospetto della nazione, al 2009. Quando arriva il momento di scegliere il college, tappa importantissima nella vita di ogni ragazzo americano con il professionismo nel futuro, DMC è tendenzialmente rivolto ad accettare il college più vicino a casa Alabama-Birmingham, allettato anche dalla possibilità di essere allenato da Mike Davis, ma la firma ufficiale dei documenti tarda ad arrivare; il ragazzo non è convinto, ad aprile cambia idea e college ma non criterio di scelta: in pochi giorni, tutto l'interesse maturato verso Memphis (da cui era uscita la first pick del 2008, un certo Rose) si sposta a Lexington, Kentucky, di pari passo con Coach John Calipari, trasferitosi dal college del Tennessee ai Wildcats.
È innegabile che Cousins sia qualcosa di unico nel suo genere, bastano poche settimane per far scattare l'amore tra di lui e Calipari, che di lì a poco dichiarerà: .
" Demarcus is one of the most talented big-man I've ever had. He has tremendous ball-handling skills for a player his size. His combination of size and shooting ability should make him though to defend".

La descrizione calza alla perfezione con quello che Cousins è in quel momento, ma di contro sorgono problemi caratteriali già accennati, e ne vanno di mezzo arbitri, compagni e avversari. Im ogni caso, Kentucky è considerata unanimemente la miglior squadra della nazione, tornare alle Final Four NCAA dopo 12 anni sembra quasi un obbligo, e il cammino di UK pre-March Madness è da assoluta schiacciasassi: il ruolino è di 32 vittorie e sole due sconfitte, nella sua parte di tabellone gli uomini di Calipari sembrano avere la strada spianata fino ad Indianapolis, sede delle finali. In questo modo, cadono sotto i colpi dei WildCats East Tennessee State, Wake Forest e Cornell, con uno scarto medio di 25 punti a partita. Sembra essere lo stesso destino dell'ultimo ostacolo di UK prima delle finali, quella West Virginia senza grandi individualità ma con tanti buoni operai e un sistema ben collaudato. West Virginia imbottiglia Kentucky in una 1-3-1, li costringe a tirare con meno del 15% da 3, blocca il gioco interno e tiene a distanza Cousins&Co fino all'ultimo. DeMarcus chiude il torneo (e la sua carriera al college) con 13.8 pts, 7.8 reb, 1.3 ast con altrettante rubate e stoppate, e mette in luce una brutta tendenza che si ripresenterà anche al piano di sopra, quella dei turnovers (3.3 alla Madness).
The Kentucky Connection.
Si rende eleggibile per il draft del 2010 poco dopo la fine del torneo, e l'unica cosa che evita la doppietta Wildcats per le prime due pick sono i problemi caratteriali di DMC che scoraggiano i GM e lo fanno scivolare fino alla #5, da parte di Sacramento.
Il primo anno in California è poco edificante, almeno dal punto di vista del campo: Cousins dimostra di avere un buon gioco spalle a canestro e un gran senso del rimbalzo, ma la squadra in quel momento è di Tyreke Evans, sophomore con numeri esorbitanti per un esordiente nella lega, pertanto è lecito un anno senza grandi picchi. Fuori dal campo, invece, subentrano i primi problemi. Non contento della situazione in squadra a poche settimane dalla fine del Lockout del 2012 chiede una trade, cosa abbastanza inusuale per un rookie. Ma non per DMC. Paul Westphal, coach dei Kings, lo lascia fuori dalla partita con New Orleans, con quella che sembra una sospensione a tutti gli effetti. Cousins si scusa, rientra, ma i rapporti con Westphal rimangono difficili, e quando la dirigenza di SacTown deve prendere una decisione, è chiaro a tutti chi avrà la peggio tra il talento futuribile futura stella della squadra e il coach rigido e fin lì inconcludente con i risultati. 
Parallelamente ai miglioramenti in campo, testimoniati da miglioramenti statistici in quasi tutte le voci del boxscore stagionale, il Cousins-Show prosegue anche fuori dal campo. Al termine di un Kings-Spurs del novembre 2012, dopo aver tenuto un atteggiamento provocatorio nei confronti di Tim Duncan per l'intera partita ed esser stato per questo criticato dal color commentator (la spalla al commento, in pratica) degli Spurs Tim Elliot, il ragazzo dell'Alabama finisce per affrontare a muso duro lo stesso Elliot per quanto detto in telecronaca. Le scuse arriveranno molto tempo dopo, anche se di persona, la sospensione invece è brevissima ma immediata.
L' estate del 2013 è il punto di svolta per il nostro DeMarco: il Front-Office dei Kings gli propone un estensione quadriennale per una cifra intorno ai 16 milioni l'anno e contemporaneamente non pareggia l'offerta dei Pelicans per Evans, rendendo di fatto Cousins team player. Cazzotti vari a parte, Cousins sembra responsabilizzato e finalmente recuperato, mette su cifre clamorose (23 punti e 12 rimbalzi a partita, con la miglior % dal campo della carriera) ma soprattutto costruisce un rapporto solido e produttivo con coach Mike Malone, rapporto che si consolida ulteriormente durante il Mondiale del 2014 con Team USA, nel quale DMC è back-up di Anthony Davis e Malone è nel coaching staff di Coach Krzsczyeski.
Cousins gioca il miglior basket della sua carriera, sembra determinato a prendersi finalmente la squadra sulle spalle, ma di colpo si ritrova a saltare 10 partite a causa di una brutta meningite virale e le brutte prestazioni dei Kings durante il suo periodo d'assenza convincono la nuova dirigenza a esonerare Malone, in modo piuttosto affrettato. Per i Kings, che fino a quel momento avevano serie possibilità di fare i play-off è il turning point in negativo della stagione, la squadra ben quadrata guidata da un DMC in stato di grazia e giocatore totale si trasforma in una disordinata, casinista e con un leader  preoccupato principalmente a ingrossare i suoi numeri (che per inciso gli valgono l'All-Star Game, a distanza di 11 anni dall'ultima volta per Sacramento). E l'arrivo di Karl non migliora la situazione, anzi. Va sempre peggio.

La filosofia di gioco dell'ex-Denver è rimasta sempre la stessa durante gli anni, prevede un alto numero di possessi a partita cercando di forzare la transizione e concludere l'azione nei primi secondi dei 24" a disposizione. Un gioco di corsa, quindi, che costruisce l'attacco a partire dalla difesa. Come può Cousins non sentirsi un pesce fuor d'acqua in tutto ciò? Lui, la stella (presunta) della squadra, che ha bisogno di poter ricevere palla in post basso per sfruttare il suo talento, e che invece deve assimilare un sistema totalmente estraneo alle sue capacità con un coach abbastanza intransigente. Non c'è speranza di trovare una via di mezzo, i Kings buttano l'ennesimo anno cercando di creare un rapporto che in realtà non può esistere. Cousins domina la palla, nel senso più negativo del termine, prendendo sempre più iniziative personali e mandando fuori giri i suoi compagni, produce tanto a livello numerico (che gli vale il secondo All-Star Game consecutivo) a causa, soprattutto, dello sconcertante dato di Usage del 33.2%, un’enormità per un lungo e in quel tipo di sistema.
Gli screzi con Karl raggiungono il picco nel momento in cui Boogie, sicuramente stizzito per la poca competitività della sua squadra, urla in faccia al suo stesso coach tenuto a freno dal solo Rondo. Karl ottiene la sospensione per DMC, la cosa riesce a passare anche come una decisione del GM Vlade Divac, ma Cousins esplode in intervista e affossa Karl pubblicamente, mettendo ancora una volta Sacramento davanti a un bivio fin troppo semplice da superare. Karl saluta al termine della Regular Season, e poco prima dell’inizio dei Playoff, che i Kings vedranno, per l’ennesima volta, solo dal divano.

Prossima vittima? Dave Joerger.

Oppure no, magari Cousins avrà già messo la testa a posto, e convincerà noi e sé stesso di essere il giocatore che crede di essere. Io, come tutti del resto, mi auguro con piacere che sia così, ma sapete cosa? Non sarebbe lo stesso, non sarebbe Boogie, l’unico e il solo.





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